Il renzismo al Sud non si è fermato ad Eboli
Sta facendo molto discutere, in questi giorni, il provocatorio articolo a firma di Antonio Polito, pubblicato sul Corriere della Sera, dal titolo: “Il Renzismo si è fermato ad Eboli”. Pur apprezzandone i toni garbati e la oggettiva eleganza del linguaggio utilizzato, dico subito che l’analisi politica contenuta nell’editoriale dell’autorevole quotidiano milanese non mi convince. Anzi, mi pare essa stessa figlia di quei luoghi comuni sul Mezzogiorno di cui spesso tutti noi (stampa compresa) facciamo fatica a liberarci. Perché lo dico molto francamente: non possiamo vivere in una sorta di attesa messianica del grande leader di turno in visita in una delle nostre città per ottenere la legittimazione di una intera classe dirigente. E con essa l’avvio di una stagione di rinascita delle aree del Sud, altrimenti “dimenticato”, se non del tutto “emarginato”.
Io credo che sia un modo vecchio di ragionare. E di utilizzare paradigmi ormai superati che non ci aiutano ad affrontare le emergenze che quotidianamente chi governa è chiamato a risolvere
Da questo punto di vista dice bene Matteo Renzi: la questione meridionale non si risolve facendo ricorso alle “solite frasi”. Né con un “meridionalismo di maniera”, che puzza di assistenzialismo e pubblico impiego. Ciò che serve al Sud è una svolta culturale, che metta al bando, tanto per cominciare, la pratica della lamentazione.
Nel mio piccolo – dopo poco più di 15 mesi trascorsi alla guida della Regione Basilicata – sento di poter dire che abbiamo raggiunto risultati storici, a partire dal modo con cui è stata gestita la vicenda petrolio, grazie alla nostra determinazione e al sostegno del governo nazionale. Ma senza che Renzi sia mai venuto in Basilicata.
Il Presidente del Consiglio – la cui visita ovviamente ci riempirebbe di legittimo orgoglio – può anche non mettere mai piede a Potenza o a Matera. Ma ciò non significa che il “renzismo” si sia fermato ad Eboli. O che il Sud sia destinato a rimanere, per dirla con Polito, “il grande buco nero della politica italiana”.
Se fosse così Matera non sarebbe mai stata scelta quale Capitale della Cultura Europea per l’anno 2019. O la stessa Fca di Marchionne non avrebbe fatto di Melfi il polo europeo dell’automotive, creando migliaia di nuovi posti di lavoro.
Evidentemente, l’autorevole editorialista del Corriere della Sera non conosce la realtà lucana. E forse non è un caso che egli citi, nel suo articolo, i presidenti di Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, saltando a piè pari la Basilicata. Io credo di non appartenere, come governatore, ad “un’altra epoca”. E meno che mai mi sento “tollerato” dal centro. Anzi, credo che mai come in questo momento storico, la Basilicata rappresenti, agli occhi di Matteo Renzi e del suo governo, una piccola regione-laboratorio, che anche grazie alla qualità della sua classe dirigente regionale, nazionale ed europea, possa dare un contributo per avviare nuove politiche di sviluppo, uscendo dalla logica della “lamentazione” e delle “solite frasi”.
Come è noto, nei giorni scorsi, a Bruxelles, ho incontrato il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, a margine di un seminario sulla nuova programmazione dei fondi strutturali, organizzato dal gruppo Socialisti e Democratici.
Devo dire che è stata un’esperienza bellissima. Tanto sul piano umano, quanto su quello istituzionale ne sono uscito arricchito e soprattutto rafforzato nelle mie convinzioni e in ciò che vado dicendo da mesi. Da quando, all’indomani del mio insediamento, ho scritto una lettera ai mei colleghi presidenti di Regione del Sud per dire: incontriamoci. Mettiamo a punto un grande piano di sviluppo del Mezzogiorno utilizzando al meglio la nuova programmazione dei fondi comunitari. Puntiamo su pochi, ma decisivi obiettivi strategici. Per esempio, portando l’alta velocità da Salerno a Reggio Calabria e da Ancona a Bari. O ancora rafforzando il porto di Gioia Tauro e quello di Taranto. Perché solo così, puntando su asset prioritari, come l’economia digitale, le infrastrutture, l’ambiente e l’innovazione, potremo realmente promuovere crescita ed occupazione. E perché solo candidando i progetti giusti, potremo sperare di far partire gli strumenti finanziari previsti dal piano Juncker rivolti soprattutto agli investitori privati, anche tramite la Bei e i fondi strutturali, che i nostri parlamentari europei, a partire da quelli di S&D, hanno fortemente sostenuto, in linea con il Governo Renzi.
Io credo che in questo la stampa, a partire dalle grandi testate, possa (e debba) darci una mano, affidando ad autorevoli firme il compito di spronare la classe dirigente, dando voce e forza alla cultura del “fare”, evitando di parlare di un Mezzogiorno preda di “potentati e cacicchi”. E come tale terra di malaffare e corruzione.
C’è anche un Sud virtuoso e “pulito”, chiamato a recuperare una funzione utile all’intera Europa, facendo da “ponte” con i Balcani e il Nordafrica. Questo Sud merita di tornare al centro dell’agenda politica nazionale. Ma per farlo dobbiamo essere tutti consapevoli che è finito il tempo del “meridionalismo di maniera”.